
15 Mag Kuaska e il Lambic, storia a puntate di un amore senza fine.
Seconda Puntata

Può sembrare incredibile ma, come avete letto nella puntata iniziale, il primo contatto che ebbi col “mondo acido” del lambic non fu con quella che poi sarebbe diventata la mia seconda famiglia: la Brasserie Cantillon, fondata da Paul Cantillon e Marie Troch, stabilitisi dal 1900 in rue Gheude 56, nel quartiere industriale di Cureghem , facente parte del popolare comune di Anderlecht, cinque minuti a piedi dalla Gare du Midi, da dove oggi si parte in Eurostar per arrivare a Londra in due ore.
Devo paradossalmente attribuire la “colpa” al mio maestro Michael Jackson che non degnò di una sola parola la Brasserie Cantillon nel capitolo dedicato alle “wild beers” nel suo basilare “The World Guide to Beer”, edito nel 1977, comprato con lo sconto nella libreria dove lavorai per circa tre mesi, libro che ebbe un’influenza decisiva sulla mia vita futura.
Quest’incresciosa dimenticanza ritardò, seppur di poco, il mio primo incontro ravvicinato con l’universo Cantillon che ineluttabilmente avvenne a metà degli anni ottanta. Fu amore a prima vista con tutti i componenti della famiglia, Jean-Pierre Van Roy e Claude Cantillon in testa che ben presto diventarono il mio secondo papà e la mia seconda mamma. Jean lo conobbi poco più tardi ma, essendo stato adottato dai suoi genitori naturali, mi considerava già suo fratello (l’unico maschio dato che aveva due sorelle, Magali e Julie) ancor prima di incontrarmi. Essendo persone istintive e colme di passione per quello che fanno e in quello in cui credono, intuirono subito che quest’italiano folle che era entrato nel loro tempio, fosse un predestinato guidato dalla forza soprannaturale della bevanda del popolo bruxellese.
Ricordo che, sin dalla prima incursione, instaurai un contatto carnale con tutto l’habitat, non solo con gli attoniti ragni che vigilano nelle polverose corsie delle vecchie botti che occultano la genesi del miracolo, ma anche con i macchinari d’epoca e soprattutto con la mitica vasca di rame che accoglierà il mosto bollente per raffreddarlo e poi fecondarlo nell’amplesso più misterioso. Jean-Pierre afferrò un secchiello e la sua pazienza e mi portò ad assaggiare decine di divini lambic di ogni stadio di maturazione. Quando scolai, in piena “trance agonistica” un intero bicchiere di lambic di poche settimane, mi disse: “se tutti fossero come te diventerei ricco in poco tempo!” alludendo alle innumerevoli bottiglie di gueuze che stavano riposando, orizzontali ed intoccabili (niente “remuage” qui!) nei corridoi della birreria. Eh sì, perché il lambic prodotto, poi assemblato ed infine imbottigliato, viene venduto , sotto forma di gueuze, molti anni più tardi e questo non è poco in un mondo dove la birra industriale viene prodotta al giovedì per andare sugli scaffali del supermercato al lunedì successivo J
In questo numero, vi volevo dare una prima anticipazione, nel prossimo numero mi scatenerò, rivelandovi segreti ed aneddoti di questa straordinaria famiglia e come farne parte rappresenti un privilegio che gratifica e riempie di gioia ma che comporta anche un’assunzione di responsabilità, una coerenza e un atto di fede che mi sento di poter onorare nei secoli dei secoli.
Amen
Kuaska, Milano 23 gennaio 2011
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