08 Nov La degustazione alla cieca
La degustazione alla cieca
A cura di Simonmattia Riva
Cosa significa degustare alla cieca? E perché dedicarsi a questo simpatico sport?
In primo luogo è necessario sgomberare il campo da un equivoco che potrebbe affacciarsi nella mente dei neofiti: la degustazione alla cieca “classica” non è una prova d’assaggio in cui non si abbia la possibilità di utilizzare la vista.
Anche questo tipo di pratica esiste ma ha modalità operative e finalità diverse: nel mondo del vino vengono talvolta organizzati eventi in cui i partecipanti vengono bendati e condotti ad assaggiare alcuni vini chiedendo poi loro di distinguere dal bouquet i bianchi dai rossi.
Il fine di questo esercizio è mostrare come ci siano prodotti enologici che hanno caratteristiche aromatiche molto distanti dai consueti paradigmi, che spesso diventano stereotipi, caratteristiche che possono essere sottovalutate o addirittura non percepite perché il pregiudizio cromatico influenza a tal punto la nostra mente da portarci a sentire il bouquet che ci hanno insegnato ad attribuire ad un “rosso” anche in un vino di colore rubino ma che abbia profumi in realtà vicini a quelli tipici di un “bianco”.
Anche in ambito birrario, peraltro, il colore è forse l’unico fattore sopravvalutato sia dal pubblico (quante volte il bravo publican si sente ordinare “una rossa” come se le cervoge contraddistinte da colori ambrati e rubini fossero tutte simili tra loro) che dai degustatori: ho osservato più di una volta colleghi anche esperti sentenziare “caramello” appena messo sotto il naso un bicchiere contenente una birra ambrata anche se, in quello specifico caso, di aromi di caramello non ve n’erano proprio.
A questo proposito ho partecipato, nell’estate 2013 a Piozzo, in coda alla giornata dedicata alla Guerra dei cloni, ad una degustazione organizzata da Mario D’Eer in cui eravamo chiamati ad utilizzare bicchieri neri: l’obiettivo era analizzare le birre assegnando loro punteggi secondo ben precisi parametri quali l’intensità dei sapori fondamentali (dolce, amaro e acido soprattutto), l’aroma e gusto di malto e quello di luppolo.

un momento della lezione dedicata alla degustazione alla cieca (corso MOBI di secondo livello a Genova)
Il noto degustatore e scrittore canadese ci stava illustrando in quella occasione il metodo da lui ideato per realizzare in Quebec un progetto di etichettatura che fungesse anche da guida per il consumatore meno esperto, che poteva in tal modo scegliere agevolmente la birra desiderata in quel momento grazie alle informazioni gustative, tradotte in un ranking numerico, riportate in etichetta.
Anche in questo caso, D’Eer, osservando diversi panel di assaggiatori, aveva notato che il colore della birra influenzava in modo significativo la classificazione delle caratteristiche aromatiche e gustative, introducendo un effetto di distorsione.
Nella degustazione alla cieca classica, invece, l’esame visivo è non solo ammesso ma anche un potente e spesso sottovalutato strumento che ci aiuta nei tentativi di riconoscimento di ciò che abbiamo nel bicchiere.
Ma, tornando alla domanda iniziale, perché un appassionato di birre dovrebbe complicarsi la vita scegliendo di degustare alla cieca?
Le occasioni in cui possiamo scegliere di o essere chiamati ad assaggiare birre senza conoscerne l’identità sono di diversa natura:
- “Cieca” di gruppo tra amici appassionati per testare e valutare le proprie capacità sensoriali e l’abilità nell’identificare gli stili birrari o specifiche etichette di uno stesso stile
- Training individuale o di gruppo per competizioni in cui è richiesto il riconoscimento di stili o etichette alla cieca, come i campionati nazionali e mondiali di Biersommelier Doemens o il superamento dell’esame BJCP
- Giurie di concorsi birrari a qualunque livello, dalla competizione amatoriale di homebrewing alla World Beer Cup
- Panel organizzati da birrifici per valutare i propri prodotti
- Se siamo degustatori di una certa fama, è sempre dietro l’angolo la burla organizzata dal giornalista, blogger o simpaticone di turno per cercare di coglierci in fallo: ad alcuni colleghi Biersommelier tedeschi anni fa fu chiesto un loro parere sulla Oettinger Pils, nota birra alemanna da discount, tutti la definirono “imbevibile” o con altri aggettivi poco lusinghieri ma in un test alla cieca con altre cinque Pils gli stessi colleghi la collocarono a un sorprendente terzo posto. Un’analoga beffa fu organizzata al Vinitaly 2013 da un produttore di Barolo, che fece assaggiare a sommelier e giornalisti di settore un Tavernello Rosso ricevendone giudizi tutt’altro che negativi.
Cosa succede quando siamo di fronte a un bicchiere misterioso?
In primo luogo, assaggiare senza conoscere il nome del prodotto e del produttore è indispensabile per non essere influenzati dalla fama, positiva o negativa, del birrificio e del birraio: è questo il motivo per cui tale metodo è obbligatoriamente usato in tutti i concorsi birrari.
Inoltre, senza l’aggancio dell’etichetta si è sempre più severi nella valutazione del prodotto: uno dei più classici bias dei giudici alle prime armi è infatti quello di diventare spietati cacciatori di difetti cercandoli (e trovandoli, per autosuggestione) anche in birre che non ne hanno nonché di sopravvalutare piccole imperfezioni che magari non alterano l’equilibrio complessivo di un’ottima birra.
Nei panel interni svolti dai birrifici, così come da tutte le aziende alimentari, l’obiettivo è invece proprio rilevarne eventuali difetti ma anche capire il grado di riconoscibilità del prodotto rispetto ad altri simili realizzati della stessa azienda o di altre.
Last but not least, il blind tasting è una formidabile palestra per allenarsi a riconoscere gli stili birrari, le loro declinazioni e anche le caratteristiche fondamentali di alcune birre che ci troviamo magari a bere più spesso: in altre parole, più “cieche” facciamo più diventiamo bravi a riconoscere le birre in questo modo.
Esiste un metodo sicuro per evitare figuracce?
No, l’errore è sempre dietro l’angolo, fa parte del gioco e, come in tutti gli ambiti della vita, ha un suo intrinseco ed elevato valore formativo, anche o soprattutto quando a sbagliare è l’espertone di turno: sono ormai nella leggenda del mondo birrario italiano i casi di un noto publican che durante una “cieca” disse se questa birra è belga, mi gioco il locale e quello di un abilissimo degustatore e grande birraio specializzato in stili belgi che in un’altra occasione sentenziò se questo è belga, devono levargli la cittadinanza. Inutile ricordare che, in entrambi i casi, le birre in questione erano dei grandi classici belgi non nella loro miglior condizione di forma.
Un metodo di lavoro e alcune buone prassi per puntellare con razionalità e criterio la nostra esperienza degustativa e la memoria olfattiva però, esistono e variano leggermente a seconda delle regole del gioco che stiamo praticando.
Caso 1: degustazione di un singolo campione o di più campioni senza nessun riferimento allo stile e alla tipologia e senza possibilità di matching da un elenco ristretto di stili o etichette.
E’ probabilmente l’esperienza più formativa ed estrema perché non abbiamo nessun appiglio a cui poterci affidare e anche il procedimento per esclusione, che nella degustazione alla cieca è uno strumento fondamentale, è ben più difficoltoso perché deve essere applicato sull’intero novero di stili birrari esistenti.
Esemplifichiamo con un caso reale: nei campionati mondiali di Biersommelier Doemens una delle prove di spareggio (io non vi ho preso parte perché mi ero già qualificato per la finale, ho solo avuto la birra in questione come cadeau) consiste nel trovarsi di fronte una birra, doverne capire lo stile, fornirne un’accurata descrizione sensoriale e suggerirne modalità di utilizzo (è una birra da aperitivo o un night cap da fine serata?) e possibili abbinamenti gastronomici.
Nell’ultima edizione la birra in questione era la Oatmeal Stout di Samuel Smith: ragionando per esclusione il colore ci porta ovviamente a concentrarci solo sulle birre scure, fortunatamente le meno diffuse, e un’approfondita valutazione cromatica ci può condurre ad escludere le Schwarzbier che, malgrado il nome, non sono affatto nere.
Il successivo esame olfattivo toglie comunque dal campo sia la pista tedesca e della bassa fermentazione che quella delle Belgian Dark Strong Ale o Quadrupel e ci porta dritti in territorio britannico. Escludendo ulteriormente le Black IPA o Cascadian Dark Ale che dir si voglia a causa dell’assenza di sentori agrumati, il cerchio viene ulteriormente ristretto.
I confini ormai del tutto saltati tra Porter e Stout, variamente interpretate dai birrai craft con la loro creatività, costringono però a navigare in un mare periglioso.
Al gusto la birra in questione aveva una schietta presenza delle tostature, con una lievissima astringenza finale da caffé espresso, che portava in direzione Stout, l’assenza di warming etilico faceva ovviamente escludere il novero delle Imperial, mancava però della nota acidula da malti tostati delle Dry Stout, aveva una minore intensità di amaro finale e le sensazioni palatali erano decisamente morbide, facendo pericolosamente pensare a una Porter. Molti colleghi hanno infatti indicato quest’ultimo stile, altri hanno invece scritto semplicemente “Stout” il salto decisivo in questa occasione era ricordarsi l’esistenza di sottostili contraddistinti dalle forti tostature delle Stout unite a una maggiore morbidezza sul palato: Milk Stout e, appunto, Oatmeal Stout. L’assenza di dolcezza da zuccheri residui portava ad escludere il lattosio e a puntare sull’avena: a posteriori può anche sembrare facile, ma in pochi minuti e con la tensione della competizione in corso la difficoltà è decisamente elevata e non a caso solo due colleghi su cinquanta scrissero “Oatmeal Stout” guadagnandosi l’accesso alla finale.
Per aiutare ad a questo tipo di situazioni, Michael Zepf, direttore dell’area Degustazione della Doemens Akademie e degustatore di altissimo livello, ha elaborato un software che prende in considerazione un elevato numero di parametri per identificare una birra: dal colore, al grado alcolico, alle IBU, al corpo fino alla carbonazione e alla trasparenza. Impostando un elenco di parametri in ordine di priorità (posso scegliere di mettere in primo piano l’elevato aroma di luppolo, ad esempio, o la carbonazione assente) il programma dispone in ordine di vicinanza rispetto ai valori immessi tutti gli stili codificati, aiutando il ragionamento per esclusione e abituandoci ad ascoltare anche i “segnali deboli”, ovvero parametri come la trasparenza o la carbonazione che possono essere sottovalutati nell’ansia di una competizione, che la nostra birra ci sta mandando.
Caso 2: degustazione di un singolo campione o di più campioni con possibilità di matching da un elenco di stili o etichette più numeroso rispetto ai campioni da assaggiare.
Pensiamo ad esempio di avere cinque bicchieri contenenti altrettante birre e un elenco di dieci o quindici stili o etichette con cui effettuare il matching.
In questo caso il ragionamento per esclusione è agevolato e diventa la principale guida nel nostro lavoro: posso essere fortunato e riconoscere subito una o più birre che ho bevuto poco tempo prima o che consumo abitualmente, questi sono ovviamente i primi campioni da assegnare ed escludere dalla successiva analisi.
A questo proposito va osservato come spesso la prima impressione sia quella corretta e le successive considerazioni, sempre più ansiose e paranoiche con il passare dei minuti, ci conducano a correggere, sbagliando, la nostra prima assegnazione; d’altra parte a volte è possibile essere colpiti da un singolo aspetto, ad esempio un aroma di mandorla rilevato al primo screening olfattivo, che ci porta a pensare a uno stile, in questo caso alle Tripel. La nostra mente, in collaborazione con le solite nemiche chiamate fretta e ansia, si convince sempre più che abbiamo nel bicchiere una Tripel e ci fa trascurare altri segnali che portano invece in tutt’altra direzione. E’ in questo modo che in una degustazione d’allenamento mi ero convinto di avere a che fare con la Chimay Tripel quando avevo nel bicchiere la Vitus di Weihenstephan.
Dopo aver assegnato le birre di cui si è più ragionevolmente sicuri, si procede con le successive fino ai casi più spinosi.
Una strategia adottata da molti, quando si hanno di fronte numerosi campioni e si vuole evitare la saturazione delle papille gustative, è effettuare un primo screening generale solo olfattivo in modo da individuare le birre più intense per luppolatura, tostature o alcolicità e lasciarle in coda alla serie degli assaggi, cominciando invece dalle birre più leggere e delicate.
Infine, se i campioni ci vengono proposti in successione è bene moderarsi nell’assaggio in modo da avere fino alla fine a disposizione almeno un goccio di tutte le birre proposte.
Caso 3: degustazione di più campioni con possibilità di matching da un elenco di stili o etichette di numero pari rispetto ai campioni da assaggiare.
In questo caso la degustazione diviene la versione alcolica e più divertente di un puzzle, in cui devo incastrare al giusto posto gli elementi che ho a disposizione.
La degustazione può riguardare campioni di stili diversi, solitamente di birre facilmente confondibili tra loro, pensiamo ad esempio ad un quintetto con Helles, Pils, Export, Heller Bock, Kölsch, o esemplari di uno stesso stile, come ad esempio avviene nella tradizionale degustazione del sabato mattina al Pils Pride.
Quando abbiamo a che fare con stili diversi ma simili dobbiamo ovviamente focalizzarci sui tratti distintivi: in linea teorica è agevole discernere già all’olfatto una Helles da una Pils per l’aroma di luppolo nettamente dominante nella seconda, ma tra una Pils del sud della Baviera e una Keller francone, che può esserci servita come Helles o semplicemente Lager, il gradiente di luppolatura è pericolosamente vicino. Parimenti, una Kölsch dovrebbe essere riconoscibile grazie ai sentori fermentativi, in primis il caratteristico fruttato acerbo di mela verde o albicocca non matura, ma alcune birre di Colonia, una volte imbottigliate e magari sottoposte a una pastorizzazione flash, perdono gran parte di questa fragranza; le Export o Dortmunder che dir si voglia, stile pochissimo frequentato in Italia, sono tra le più ingannevoli perché il loro livello di luppolatura è a metà strada tra una Helles e una Pils, ciò che permette di distinguerle è solitamente il corpo più rotondo e la percezione di un’alcolicità leggermene superiore.
Se il gioco riguarda invece esemplari diversi di uno stesso stile, diventano decisive la nostra memoria e i nostri personalissimi descrittori, che possono facilmente essere open minded e molto originali. Durante il primo assaggio ci si deve sforzare di trovare una caratteristica distintiva tradotta in un aggettivo o un descrittore personale che identifichi ciascuna birra per poi poterla andare a ricercare in fase di riassaggio.
Caso 4: degustazione di campioni di un medesimo stile o tipologia senza matching con un elenco di referenze
E’ la situazione caratteristica dei concorsi birrari: i giudici sanno che verranno loro sottoposte birre di uno stesso stile o tipologia ma non ne conoscono ovviamente i produttori.
In questo caso i parametri obbligati sono le linee guida di quello specifico stile o categoria, che possono variare anche in modo significativo da concorso a concorso (ad esempio, nella categoria Saison possono essere o meno ammesse le Farmhouse Ale realizzate con inoculo di Brettanomiceti), così come cambia il livello di flessibilità con cui i giudici possono interpretare le suddette linee guida.
L’obiettivo non è, ovviamente, il riconoscimento (anzi, giocare a “indovina che birra è?” nel bel mezzo di un concorso, con tempi stretti di lavoro da rispettare e una finalità che non è certo quella di coltivare l’ego del singolo giudice, è una pessima idea e i colleghi di tavolo che vi indulgono mi causano istantanei attacchi di orticaria) ma premiare le migliori birre delle varie tornate e in questo caso entra in gioco anche la discussione di gruppo con i suoi inevitabili bias dovuti alla ricerca di un accordo che, talvolta, quando il tavolo di giudici è particolarmente polarizzato su due o più diverse candidate alla medaglia, può portare a premiare le birre più bilanciate ed equilibrate a discapito di altre magari più geniali ma estreme.
Anche nei panel test si assaggiano generalmente birre di analoga tipologia con l’obiettivo di scandagliarne alcune caratteristiche: ad esempio può essere chiesto di stabilire un ranking in base al livello di amaro, al profumo erbaceo o agrumato e ad altre caratteristiche ancora oppure il fine può essere quello di valutare la riconoscibilità di una birra trovando i due campioni identici in una serie di tre assaggi o i tre uguali in una successione di cinque.
Diversi metodi e strategie per diverse finalità dunque, con una sola certezza: degustando alla cieca si impara, e molto, ci si diverte e si instaura un rapporto più profondo e intimo con la bevanda.
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